10 Mag 40 anni di Legge Basaglia, 20 milioni di italiani curati fuori dai manicomi
Zeroviolenza, 10 maggio 2018
di Maria Giovanna Faiella
Ogni anno circa 800mila italiani sono assistiti nei Dipartimenti di salute mentale, significa che circa venti milioni di persone, in quarant’anni, sono state curate e seguite senza essere rinchiuse nei manicomi.
È la stima degli esperti della Società italiana di psichiatria (Sip), in occasione dei quarant’anni di vita della legge 180.
Una ricorrenza che non è una semplice “celebrazione” di una legge definita rivoluzionaria, ma un’occasione di fare il punto sulle criticità dell’assistenza psichiatrica ancora presenti nel nostro Paese, a cominciare dalla disomogeneità delle cure da una regione all’altra, e persino da un dipartimento di salute mentale all’altro, e dalle scarse risorse che il Servizio sanitario nazionale riserva alla salute mentale, nonostante i “numeri” delle malattie mentali siano in costante aumento.
Psichiatria di comunità
«La riforma psichiatrica effettuata con la Legge 180 ha permesso di modernizzare l’impostazione clinica dell’assistenza, instaurando rapporti umani rinnovati col personale e la società, riconoscendo appieno i diritti e le necessità dei pazienti seguiti e curati nelle strutture territoriali – dice Enrico Zanalda, segretario nazionale della Sip e direttore del Dipartimento di Salute Mentale all’ASL TO3 di Torino -. Di fatto, l’Italia è l’unico Paese privo di ospedali psichiatrici e che ha adottato in maniera radicale e diffusa il modello della psichiatria di comunità, per quanto con evidenti differenze tra le Regioni».
«I successi ottenuti in questi anni con la Legge Basaglia – interviene Bernardo Carpiniello, presidente della Sip e direttore del dipartimento di psichiatria all’Università di Cagliari – devono essere un punto di partenza alla luce di problemi emergenti, con nuove patologie in aumento e un ruolo crescente di fattori anche sociali che hanno conseguenze sulla salute mentale».
Le patologie più diffuse
Secondo i dati della Sip, su circa 800mila persone assistite ogni anno nei dipartimenti di salute mentale (pari all’1,5 cento della popolazione adulta), circa il 20 per cento degli utenti ha problemi di schizofrenia o altri disturbi mentali dello spettro autistico, il 31 per cento ha disturbi dell’umore (soprattutto depressione maggiore e disturbo bipolare), il 13,5 per cento degli utenti soffre di disturbi nevrotici (disturbo ossessivo compulsivo, stress post traumatico, di panico o da ansia).
Ma sono in aumento gli utenti con disturbi della personalità (circa il 7 per cento), altri disturbi psichici e che fanno uso di sostanze (circa il 18%), da quelle tradizionali quali alcol, eroina, cocaina, cannabis, alle nuove dipendenze, per esempio, da cannabinoidi e psicostimolanti sintetici. Secondo le stime degli esperti, nel nostro Paese la prevalenza delle persone affette da disturbi mentali in un anno è all’incirca dell’8 per cento, il che significa che l’assistenza pubblica, complice anche lo stigma che ancora esiste verso il disagio mentale e chi ne soffre, intercetta solo una parte degli utenti.
Scarse risorse
L’aumento delle malattie mentali in questi anni è stato inversamente proporzionale alle risorse stanziate per affrontarle. Oggi l’Italia è al ventesimo posto in Europa sia come numero di psichiatri sia come spesa per la salute mentale, a fronte di cifre doppie o triple in Paesi come Francia, Germania e Regno Unito. Il budget medio nazionale per la salute mentale è circa il 3,5 per cento della spesa sanitaria complessiva, anche se per la Conferenza Stato Regioni la percentuale da destinare alla salute mentale dovrebbe essere pari al 5 per cento del Fondo sanitario nazionale. Ma solo tre aree del Paese, Emilia Romagna e Province autonome di Trento e Bolzano, raggiungono questo standard, ben 15 Regioni sono al di sotto del 3,5 per cento.
6% in meno del personale previsto
Carenze che si ripercuotono sul personale insufficiente. «Sono circa 31mila gli operatori che lavorano nei servizi di salute mentale, possono sembrare tanti ma non lo sono se si considera che lo standard previsto per legge è di un operatore ogni 1.500 abitanti ma la media nazionale effettiva è di 0,94, ovvero il 6% in meno del personale previsto -sottolinea Carpiniello – . In 14 Regioni si è al di sotto dello standard, soprattutto nel centro sud, in tre regioni si registra addirittura una carenza di personale del 50 per cento. In alcune Regioni, per esempio, la carenza di psicologi è pressoché assoluta, mancano anche medici, assistenti sociali ed educatori della riabilitazione. Si tratta di una carenza grave – denuncia il presidente della Sip -.
La cura nella salute mentale si basa sulla relazione terapeutica e, a differenza di altri comparti della sanità, non c’è bisogno di tecnologie ma di risorse umane con una formazione specifica. È stato un atto di civiltà abolire i manicomi, ma dovrebbe essere un altrettanto atto di civiltà garantire le cure migliori, in strutture adeguate e con personale in numero sufficiente. Non abbiamo bisogno di nuove leggi ma di un nuovo Progetto obiettivo nazionale per la Salute mentale con vincoli di osservanza, per le Regioni, per superare le troppe differenze tra aree del Paese, soprattutto al Sud dove si registrano le maggiori criticità».
(da Il Corriere della Sera)