18 Ott Slegami
Il dolore è una tigre
che vorreste in gabbia
dietro mille sbarre
di sedazione e contenzioni:
noi nolenti, noi volenti
che vi cambia?
Il dolore allo zoo diventa rabbia.
Un corpo che cammina urlando
“non sta bene”:
il decoro in psichiatria
è un’assurda ipocrisia
da camici bianchi
intenti a fare diagnosi
come cruciverba:
passatempi per non vedere
che i matti son più matti
quando li sbatti dentro,
quando li lasci gridare
al buio, da soli, una notte intera.
Medici Pilati dai colletti inamidati
chiamano a raccolta
infermieri ed OSS affatto intenzionati
a rifiutarsi di obbedire alla gerarchia.
I superiori con le loro unghie perfette
attendono:
nemmeno le mani si devon lavare
perché loro no, no, non toccano.
Gli altri ti vengono incontro
proprio come la polizia,
quattro contro uno.
“Non toccarmi, non toccarmi!”
“Conosco i miei diritti”. Serve a qualcosa?
Se tu che mi devi aiutare,
mi vuoi fare del male,
l’unica cosa che mi protegge
è aver imparato a leggere e a studiare.
Il dolore va ascoltato:
non legato;
la sua storia,
intrappolata in una ragnatela,
va ripercorsa e liberata.
Chi racconta, sopravvive.
Chi vive, non vuole bavagli.
La psichiatria
è un boomerang di traumi.
Eppure, eppure
tutto questo dovrebbe essere
illegale;
fa male, fa male
sapere che a ferire
è chi dovrebbe aiutarti a guarire.
Come ci possiamo fidare
di chi ci può legare?
Una storia e una testimonianza di S.B.